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Il ritorno della Datsun 240Z

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Realizzata in Italia una specialissima replica della coupè giapponese.

Al via dell’ottava edizione Giro di Sicilia storico, in programma ai primo di Giugno 1996, c’era anche una Datsun Z240 di colore arancione con il cofano nero opaco. Era solo una replica della coupè che nel 1971 e nel 1973 vinse l’East African Safari Rally, ma tanto bastò per calamitare su di essa l’attenzione degli appassionati e degli sportivi. Al volante della vettura c’erano Giuliano Musumeci Greco e Alessandro Cacciotti, all’epoca rispettivamente amministratore delegato e direttore vendite di Nissan Italia, che, sulla base di dettagliate informazioni ricevute direttamente dal museo Nissan di Tokyo, erano intervenuti sull’estetica della coupè personale del primo senza modificare la meccanica (impianto di scarico, a parte).

La storia della 240Z inizia alla fine degli Anni Sessanta quando la Casa giapponese vara il progetto S30 che prevede la realizzazione di una serie di sportive prodotte da Nissan Motor e vendute in Giappone come Nissan Fairlady Z e all’estero come Datsun 240. Questo era frutto della combinazione delle iniziali dei tre fondatori (Kenjiro Den, Rokuro Aoyama, Meitaro Takeuchi) con la parole inglese “sun” (sole). In seguito, questa denominazione fu abbandonata a favore di Nissan perché si pensava che il nome Datsun avesse un’antipatica assonanza con quello della concorrente Daihatsu.

Presentata all’inizio del 1969, la 240Z (cui avrebbero fatto seguito nel 1974 e nel 1975 la 260Z e la 280 con propulsori maggiorati rispettivamente a 2,6 e a2,8 litri), era una coupé a 2 posti equipaggiata con un 6 cilindri in linea monoalbero di 2,4 litri da 150 CV e alla fine dello stesso anno con una versione speciale con motore bialbero a 24 valvole con 3 carburatori destinata a trovare impiego nei rally, riconoscibile esternamente per lo spoiler anteriore e le ruote in magnesio. Nel 1978 viene presentata la 280ZX a 2+2 posti e motore 2.800 a iniezione elettronica Bosch, affiancata tre anni dopo da una versione Turbo da 180 CV.

La linea aggressiva, che all’epoca esce dagli schemi della produzione automobilistica giapponese, le buone prestazioni, le affermazioni sportive e il prezzo concorrenziale rispetto quello delle sportive dell’epoca sono alla base del successo di questo modello cui va il merito di avere contribuito non poco a rivalutare l’immagine alle automobili del Sol Levante, considerate fino ad allora soprattutto copie a buon mercato dei modelli occidentali.

 

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